Miglior ritorno non si poteva immaginare per questo blog. Che poi si tratta più un arrivo che un ritorno… L’Ascoltatore ha avuto la fortuna di assistere alla prima romana di Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi. Per incredibile che possa apparire, la seconda opera del compositore cremonese, andata in scena la prima volta al Teatro Santi Giovanni e Paolo di Venezia nel 1640, non era mai stata rappresentata nella Capitale. A questa assenza ha meritoriamente rimediato il Reate Festival, che la propone al Teatro di Villa Torlonia (e in replica al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti il 10 ottobre).
Un teatro piccolo ma di grande bellezza, perfetto per accogliere uno spettacolo “antico”, con un’orchestra di neanche venti elementi; una compagnia di canto giovane e agguerrita; una messa in scena di impatto e curata in ogni aspetto; un’esecuzione perfetta guidata da uno specialista di fama internazionale. Gli ingredienti ci sono tutti per tre ore di godimento puro. Non occorre essere un appassionato di Monteverdi o della musica della sua epoca per immergersi totalmente nelle meraviglie di una rappresentazione senza tempo. Quella dei Seicento è una vocalità diciamo pre-operistica, che può suonare aspra alle nostre orecchie e che rimanda più a certa musica contemporanea che al bel canto o all’opera romantica. A tratti, viene più in mente lo Sprechgesang di Schönberg che il melodramma italiano… Colpisce ad esempio la vocale finale di parola sdoppiata su due note (Ulisse-e).
La regia di Cesare Scarton colloca gli Dei quasi sempre nella galleria, in posizione sopraordinata agli umani e alle loro vicissitudini, vestiti in abiti ottocenteschi (Nettuno da ammiraglio, Giove da generale, Minerva e Giunone da gran dame). Bella la soluzione dell’apparizione ini scena di Minerva sotto spoglie di ragazzo che canta in playback. A introdurre la vicenda, la Humana fragilità, il Tempo, la Fortuna e Amore. I personaggi della vicenda omerica sono in abiti della nostra epoca, a segnare l’eternità della condizione umana, che da sempre si misura con gli stessi problemi: qui l’amore, la fedeltà, l’inganno, la lussuria, la cupidigia, la brama di potere.

Mauro Borgioni nel ruolo di Ulisse
Ottimo il baritono Mauro Borgioni nel ruolo del titolo: voce piena e risonante, dizione perfetta, condizione indispensabile nel recitar cantando monteverdiano. Efficace la Penelope di Lucia Napoli. Molto bene il basso Piero Facci nel doppio ruolo del Tempo e di Nettuno. Perfetti i due soprani Vittoria Giacobazzi (Fortuna e Giunone) e Sabrina Cortese (Amore e Minerva). Il controtenore Enrico Torre ha una voce gradevolissima che dà dolente corpo alla Humana fragilità (e al procio Pisandro).

Michela Guarrera nel ruolo di Melanto
Menzione speciale per la Melanto di Michela Guarrera, che vedrei bene come Despina in Così fan tutte (ha già interpretato Fiordiligi): presenza scenica da vera attrice e voce deliziosa.
In buca, Alessandro Quarta ha diretto dal clavicembalo il Reate Festival Baroque Ensemble, compagine molto giovane composta da due violini, due viole, viola da gamba, contrabbasso, tiorba, chitarra e arciliuto, arpa e un altro clavicembalo. Una lettura molto fisica della partitura, accompagnata da gesti precisi soprattutto per suggerire ai musicisti l’espressività, con i tempi giusti che mai mettono in difficoltà i cantanti. A sottolineare la disinvoltura della conduzione del tutto, a uno spettatore rumoroso, Quarta ha pure puntato le dita nel gesto della pistola…
Applausi finali del fortunato pubblico. Un suggerimento per chi legge nel Lazio o dintorni: da non perdere la replica di mercoledì 10 ottobre a Rieti.