
(Cavalleria rusticana/Teatro dell’Opera di Roma)
Che esistano solo due generi di musica – quella bella e quella brutta – è frase attribuita a tanti, io l’ho sentita accreditata a Leopold Stokowski. Lo stesso si può dire delle regie d’opera postmoderne. Io non ho nulla contro le “riletture” del melodramma o il cosiddetto teatro di regia. Tutto sommato, l’opera lirica è un “recitar cantando” e del recitare bisogna tener conto. Senza dimenticare che ormai è improponibile la staticità dei personaggi durante le arie, soprattutto di quelli che in quel momento non cantano. Tutto questo per dire che la regia postmoderna di Cavalleria rusticana e Pagliacci all’Opera di Roma proposta da Pippo Delbono è brutta (il regista si è anche appropriato dell’ultima battuta: «La commedia è finita!»). E siccome se n’è parlato troppo, non dirò altro.

Anita Rachvelishvili, Santuzza (Cavalleria rusticana/Teatro dell’Opera di Roma)
L’opera del livornese Pietro Mascagni torna a casa, avendo avuto il suo debutto proprio al Costanzi il 17 maggio 1890, e da allora rappresentata moltissime volte. Ispirata all’omonima novella di Giovanni Verga, Cavalleria rusticana tratta il tema dell’amore carnale, della gelosia, del tradimento e dell’onore, vendicato con un omicidio, specchio di una Sicilia sanguigna e sanguinosa. Temi che si ritrovano anche nei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, che secondo l’autore prende spunto da un fatto di cronaca avvenuto in Calabria, dove l’omicidio finale è duplice, sempre a opera del marito tradito. In Cavalleria la delazione è femminile, fatta da Santa, sedotta e abbandonata da Turiddu prima della sua tresca con Lola; in Pagliacci maschile, da parte di Tonio, “difforme” come Rigoletto e come lui vendicativo dopo esser stato respinto da Nedda. Andata in scena per la prima volta al Teatro Dal Verme di Milano il 21 maggio 1982 sotto la bacchetta di un giovane Arturo Toscanini, l’opera di Leoncavallo fu accoppiata a quella di Mascagni già dal 1893, auspice il Metropolitan di New York, fino alla benedizione dello stesso compositore di Cavalleria che le diresse insieme alla Scala nel 1926. Nei Pagliacci c’è anche il tema della vita e del teatro che si mescolano: Canio rivive sulla scena il tradimento di Nedda e trasforma la rappresentazione in una tragedia vera: si tratta di vita che irrompe più che il pirandelliano teatro nel teatro,

Gevorg Hakobyan, Alfio (Cavalleria rusticana/Teatro dell’Opera di Roma)
Le due sono opere popolarissime, saccheggiate anche dal cinema. Basti pensare all’“Intermezzo” della Cavalleria, usato nei titoli di testa di Toro Scatenato (1980) di Martin Scorsese, con Robert De Niro-Jake La Motta che danza sul ring in accappatoio in bianco e nero; oppure una sintesi dell’opera rappresentata al Massimo di Palermo nel Padrino III (1990). L’aria più famosa dell’opera di Leoncavallo, Ridi, pagliaccio, viene adoperata da Brian De Palma negli Intoccabili (1987): Robert De Niro-Al Capone la ascolta a teatro mentre Sean Connery-Malone viene ucciso (al giungergli della notizia, il gangster trasforma la commozione suscitatagli dal canto in una risata beffarda).
E veniamo alla rappresentazione romana. In Cavalleria, spicca Anita Rachvelishvili nel ruolo di Santa; il mezzosoprano georgiano ha una gran voce, molto morbida e pastosa, che passa l’orchestra e riempie il vasto spazio del Costanzi. Bravo anche il tenore sudcoreano Alfred Kim, Turiddu. Timbro un po’ ingolato nel registro grave quello del baritono armeno Gevorg Hakobyan nella parte di Alfio. Da segnalare la bella presenza scenica della seducente Lola di Martina Belli. Completava il cast la mamma Lucia di Anna Malavasi.

(Pagliacci/Teatro dell’Opera di Roma)
In Pagliacci sopravvive come Tonio Gevorg Hakobyan. Canio ha la voce di Fabio Sartori, già sentito a Roma come Cavaradossi e Radames; per lui bella prova, con lungo applauso dopo Vesti la giubba. Ottima la Nedda di Carmela Remigio, già ammirata come Elisabetta nella Maria Stuarda l’anno scorso; dotato di un bel timbro, il soprano pescarese è anche una brava attrice con un’ampia gamma espressiva, ben salutata dal pubblico. Buonissima impressione ha destato il tenore Matteo Falcier nella parte di Beppe-Arlecchino. Timbro non gradevolissimo per il baritono greco Dionisios Sourbis interprete di Silvio.

Gevorg Hakobyan, Tonio – Carmela Remigio, Nedda – Fabio Sartori, Canio (Pagliacci/Teatro dell’Opera di Roma)
In gran spolvero l’Orchestra del Teatro dell’Opera, diretta da Carlo Rizzi: morbidi gli archi, dolcissimi e precisissimi nell’“Intermezzo” mascagnano, eseguito in maniera davvero esemplare; smaglianti gli ottoni, corni in gran forma, efficaci le percussioni. Se si deve trovare una pecca, non è stata particolarmente trascinante la scena dell’Alleluja nella Cavalleria, scorsa via senza particolare emozione. Grande successo di pubblico, che ha gradito tutto tranne la regia.

Carmela Remigio, Nedda -Fabio Sartori, Canio (Pagliacci/Teatro dell’Opera di Roma)
Teatro dell’Opera di Roma
10 aprile 2018
Cavalleria rusticana
Musica di Pietro Mascagni
Opera in atto unico
Testo di Guido Menasci e Giovanni Targioni-Tozzetti, tratto dalla novella di Giovanni Verga
Santuzza Anita Rachvelishvili
Lola Martina Belli
Turiddu Alfred Kim
Alfio Gevorg Hakobyan
Lucia Anna Malavasi
Pagliacci
Musica di Ruggero Leoncavallo
Opera in due atti
Libretto di Ruggero Leoncavallo
Canio Fabio Sartori
Nedda Carmela Remigio
Tonio Gevorg Hakobyan
Beppe Matteo Falcier
Silvio Dionisios Sourbis
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Carlo Rizzi
Regia Pippo Delbono
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Sergio Tramonti
Costumi Giusi Giustino
Luci Enrico Bagnoli