Il libertino impunito

 

La scena musicale romana sa proporre accostamenti raffinati: il Reate Festival mette in scena L’Empio punito di Alessandro Melani in quel meraviglioso gioiello del Teatro di Villa Torlonia. L’Opera di Roma allestisce il Don Giovanni di Mozart al Costanzi. Si tratta rispettivamente della prima e della più celebre versione musicale del mito del libertino ideato da Tirso de Molina. L’Ascoltatore ha visto gli spettacoli in due giorni di fila.

Anticipiamo un’osservazione complessiva. Entrambi i registi non credono alla punizione del libertino. Nell’Empio punito, Acrimante, dopo essere sprofondato agli inferi, se la spassa con Proserpina, già incontrata in sogno durante il finto avvelenamento. Nel Don Giovanni, l’eroe eponimo ricompare in scena nel finale moraleggiante per guardare dall’alto di un albero e con distacco l’accoppiamento tra Donn’Anna e Don Ottavio e la fuga lesbo di Donna Elvira con Zerlina. Il “ritorno” del reo non è certo una novità interpretativa, ma mentre Cesare Scarton lo risolve nell’aldilà, dove Acrimante continua la sua carriera di libertino pur dopo la punizione, Graham Vick riporta Don Giovanni nell’aldiquà, concedendo quasi un’amnistia terrena che estingue i reati del protagonista. Come dire che nessuno crede alla funzione rieducativa della pena…

E ora procediamo in ordine cronologico delle opere.


Dalla Spagna a Roma, passando per la Macedonia

Nel 1669 si diede a Roma la prima rappresentazione di un’opera che traeva il soggetto da El burlador de Sevilla y Convidado de piedra di Molina. La storia di Don Giovanni trovava la prima trasposizione nel teatro musicale. L’Empio punito del pistoiese Melani fu promosso dal concittadino papa Clemente IX. Replicato in alcune città italiane, scomparve dalle scene per oltre tre secoli. Pochi anni fa la sua prima ripresa moderna a Lipsia. Ora, nel 350° anniversario, la prima romana. Tra pochi giorni, il 12 ottobre, un’altra messa in scena, in versione integrale, inaugura la stagione del Verdi di Pisa.

L’allestimento a cura del Reate Festival è una versione con alcune semplificazioni sceniche, come l’assenza di statue nel momento in cui il monumento di Tidemo vola in cielo mentre Acrimante sprofonda all’infero, e con alcuni tagli, come il trasporto del protagonista a opera di Caronte. Al Teatro di Villa Torlonia, la scena (a cura di Michele della Cioppa) si presenta come una serie di praticabili frammentati molto inclinati, tra i quali giocano quattro pannelli translucidi che vengono spostati di volta in volta. I costumi di Anna Biagiotti trasportano gli eventi in una sorta di anni Venti indeterminati, ma Acrimante indossa una palandrana fuori dal tempo e Bibi sfoggia un chiodo da teddy boy. Se il librettista Giovanni Filippo Apolloni colloca l’azione nell’antica Macedonia, la regia di Cesare Scarton ci porta in epoca moderna, tanto che l’opera si apre con una scena balneare stile belle époque. Anacronismo per anacronismo, la scelta ha una sua coerenza e L’Empio punito scorre via in modo godibilissimo, con il suo susseguirsi di recitativi, arie e duetti: musica sopraffina quella di Melani, che merita questo lavoro di recupero.

Mauro Borgioni, già ammirato nel Ritorno d’Ulisse in patria l’anno scorso, ha bella voce da baritono e qualità di attore con cui occupa la scena da vero protagonista: è un Acrimante spaccone il giusto e capace di soffrire nella scena dell’avvelenamento. Il suo alter ego Bibi-Giacomo Nanni è un basso con una voce un po’ chiara. Michela Guarrera dà vita a una Ipomene di spessore canoro e presenza scenica. Sabrina Cortese è un’Atamira dal timbro gradevolissimo e dalla recitazione partecipata. Strepitoso Alessio Tosi nei panni di Delfa, la nutrice di Ipomene. Cloridoro è impersonato dal soprano Carlotta Colombo, totalmente a suo agio nel personaggio. Alessandro Ravasio è un Atrace dalla voce un po’ ingolata. Molto efficace la Proserpina di Maria Elena Pepi, che interpreta anche una pastorella nella scena iniziale, assieme al tenore Luca Cervoni, impegnato anche nella parte del consigliere Corimbo. Bene anche Riccardo Pisani come Tidemo e Guglielmo Buonsanti come un demonio.

Uno spettacolo nello spettacolo la direzione di Alessandro Quarta, che dal clavicembalo dirige con grande attenzione alle sfumature lo snello Reate Festival Baroque Ensemble: sei violini, violoncello, viola da gamba, contrabbasso, due tiorbe e chitarre, fagotto e altro cembalo. Le dinamiche vengono rese con grande effetto e gli strumentisti attingono a una varia tavolozza di colori per accompagnare le diverse situazioni drammatiche.


Ritratto di un seduttore senza emozioni

Non dev’essere facile per un regista affrontare l’allestimento di un’opera con una così lunga storia come il Don Giovanni. All’Opera di Roma, Graham Vick conclude la trilogia di Mozart e Da Ponte leggendo la vicenda del libertino come un susseguirsi di accadimenti vorticosi che non lo scalfiscono. Don Giovanni è totalmente indifferente agli altri e come un rullo compressore li schiaccia. Intorno a lui lascia un deserto. E infatti la scena concepita da Samal Blak è essenziale, consistendo in un unico praticabile che incombe anche sull’orchestra e si alza a parete nella parte retrostante; unico elemento un albero spoglio.

Le mutande di Donna Anna (sulla cui onestà Vick non scommette) sono un po’ l’alfa e l’omega di questa messa in scena: sbucano fuori nella scena iniziale quando lei e Don Giovanni escono dalla casa della nobildonna dopo un chiaro incontro amoroso, ritornano nel finale quando Donn’Anna si accoppia con Don Ottavio, ma cercando con le mani un redivivo Don Giovanni, come Stefania Sandrelli nel finale di Divorzio all’italiana.

Altre trovate registiche sono: Don Giovanni e Leporello già vestiti uguale (completo grigio sabbia, camicia bianca e scarpe nere) e pure somiglianti con barba alla moda; ciò rende surreale lo scambio d’abito, ma sottolinea l’ambiguità dei personaggi e l’incapacità di comprenderli da parte di chi li incontra. Donna Elvira è già suora. Don Giovanni mangia gli spaghetti con le mani, forse un omaggio al Totò di Miseria e nobiltà. Don Ottavio fidanzato perfetto con tanto di anello nell’astuccio. Della trilogia Mozart-Da Ponte secondo Vick, la più riuscita mi è parsa Le Nozze di Figaro, mente la più infelice Così fan tutte; Don Giovanni si colloca nel mezzo, nonostante sia la più contestata dal pubblico.

La parte musicale ha visto Jérémie Rhorer dirigere con buon piglio i complessi romani; clavicembalista, il direttore francese si è concentrato esclusivamente sul podio, da cui ha staccato tempi neanche troppo incalzanti (“Fin ch’han dal vino” non è stata presa come una corsa a perdifiato) e ha sbalzato dinamiche adeguate a una partitura che dei contrasti fa la sua cifra. Il volume di suono ha forse creato qualche problema ai cantanti, non tutti dotati dei decibel giusti. La versione adottata è quella di Praga, senza l’aria di Don Ottavio “Dalla sua pace” né quella di Elvira “Mi tradì quell’alma ingrata”.

Nel ruolo del titolo Riccardo Fassi si è disimpegnato con grande applicazione, sfruttando anche la bella presenza scenica. Guido Loconsolo è un Leporello molto disinvolto soprattutto nei recitativi. Valentina Varriale è una Donna Anna cinica (vedi le mutande) dotata di una buona vocalità, messa in evidenza dalle colorature di “Non mi dir, bell’idol mio”. Gioia Crepaldi è un’Elvira sensibile e smarrita, che invece di trovare il convento nel finale scappa con Zerlina, magistralmente resa da Rafaela Albuquerque, vera perla della serata. Anicio Zorzi Giustiniani interpreta un Don Ottavio meno “bravo ragazzo” del consueto. Corretto il Masetto di Andrii Gnachuk. Per il Commendatore, ci vorrebbe una voce più stentorea di quella di Antonio Di Matteo.

 

L’empio punito
Dramma per musica in tre atti
Musica di Alessandro Melani (1639-1703)
Libretto di Giovanni Filippo Apolloni su un testo di Filippo Acciaiuoli tratto da El burlador de Sevilla y Convidado de piedra (1616) di Tirso da Molina

Atrace, Re di Macedonia Alessandro Ravasio
Ipomene, sorella del Re di Macedonia Michela Guarrera
Cloridoro, cugino del Re Carlotta Colombo
Atamira, figlia del Re di Corinto Sabrina Cortese
Acrimante, cugino del Re di Corinto Mauro Borgioni
Bibi, servo d’Acrimante Giacomo Nanni
Delfa, nutrice d’Ipomene Alessio Tosi
Tidemo, aio di Ipomene, e consigliero Riccardo Pisani
Corimbo, consigliero Luca Cervoni
Proserpina Maria Elena Pepi
Demonio Guglielmo Buonsanti
Due Pastorelle Maria Elena Pepi e Luca Cervoni
Coro di Marinai, Stallieri, Diavoli, Guardie Luca Cervoni, Riccardo Pisani e Guglielmo Buonsanti

Alessandro Quarta, direttore
Reate Festival Baroque Ensemble

Cesare Scarton, regia
Michele Della Cioppa, scene
Anna Biagiotti, costumi
Andrea Tocchio, luci
Silvia Alù, assistente alla regia
Maria Rossi Franchi, scenografo assistente
Antonio De Petrillo, assistente ai costumi

Produzione Reate Festival 2019


Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
DIRETTORE Jérémie Rhorer
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
REGIA Graham Vick
SCENE Samal Blak
COSTUMI Anna Bonomelli
MOVIMENTI COREOGRAFICI Ron Howell
LUCI Giuseppe Di Iorio

DON GIOVANNI Riccardo Fassi
LEPORELLO Guido Loconsolo
MASETTO Andrii Ganchuk *
IL COMMENDATORE Antonio Di Matteo
DON OTTAVIO Anicio Zorzi Giustiniani
DONNA ANNA Valentina Varriale **
DONNA ELVIRA Gioia Crepaldi
ZERLINA Rafaela Albuquerque *

* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
** diplomata “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma

 

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