L’angelo di fuoco e l’angioletto della resurrezione

La musica propone accostamenti inattesi. In due giorni consecutivi mi ha parlato di angeli. Giovedì ho assistito a una replica di L’angelo di fuoco di Prokofiev al Teatro dell’Opera, venerdì ho ascoltato la “Resurrezione” di Mahler a Santa Cecilia. Nell’opera del compositore russo, le ali vengono portate da due danzatori di breakdance, uno bianco dorato e l’altro rosso; nella sinfonia dell’autore boemo-austriaco, un angioletto fa capolino nel Lied del quarto movimento. E in entrambi i casi si tratta di creature angeliche problematiche.

L’angelo di luce e fuoco

Prokofiev non vide mai una rappresentazione della sua opera. La scrisse negli anni Venti del Novecento, ma tranne un’esecuzione parziale e in forma di concerto a Parigi nel 1928, L’angelo di fuoco rimase nel cassetto, per vedere finalmente la luce solo dopo la morte del compositore (lo stesso giorno di Stalin nel 1953…) a Venezia nel 1955. Va detto che non è un’opera di facile resa scenica. Non a caso la prima italiana fu curata da un gigante del palcoscenico come Giorgio Strehler. Al Costanzi di Roma la regia è di Emma Dante, che compie un’operazione ardita e convincente: sovrapporre il suo immaginario siciliano (meglio: palermitano) a un testo simbolista russo che narra vicende tedesche del XVI secolo. E ci riesce. I costumi di Vanessa Sannino sono ottocenteschi, mentre le scene di Carmine Maringola sono atemporali, ma rimandano chiaramente alle Catacombe dei Cappuccini di Palermo. Ne scaturisce un’ambientazione sovraccarica che fa eco al parossismo della musica di Prokofiev, ben reso dalla direzione di Alejo Pérez.

Emma Dante ci fa vedere (a noi e alla protagonista Renata) l’angelo sotto le spoglie di un ballerino di breakdance in costume bianco dorato, che si sdoppia in un’altra creatura rosso fuoco nel finale, a sottolineare l’ambiguità di tutta la vicenda, per cui sorge il dubbio che l’apparizione che turba la protagonista possa essere il diavolo. Renata è tormentata dall’età di otto anni da questo angelo, di cui si innamora, credendo poi di ritrovarlo in Heinrich (un mimo); di lei si innamora Ruprecht, che cerca invano di sedurla, mettendo anche a repentaglio la vita sfidando a duello il rivale. Il climax dell’opera è la scena finale, in cui Renata, che ha “contagiato” le suore del convento in cui si è ritirata, viene sottoposta a esorcismo dall’Inquisitore, durante un sabba che culmina nella sua morte vestita da Madonna dei Sette Dolori. La regia della Dante è arricchita anche da episodi mimici durante i cambi scena (i cinque atti e sette quadri vengono rappresentati con un solo vero intervallo, alla fine si tratta di due ore e dieci minuti di musica) che non c’entrano nulla con la storia, in pieno stile postmoderno.

Renata è il soprano Ewa Vesin, chiamata a dar voce a quello che si è soliti definire un ruolo impervio: tessitura molto acuta che deve sovrastare un organico orchestrale ampio, cosa che non sempre riesce alla cantante polacca; in più, nel registro grave si riscontra qualche problema di volume. Meno convincente il Ruprecht del baritono Leigh Melrose, non dotato dei decibel giusti per una partitura così densa. Nei ruoli dei comprimari si segnalano il basso Goran Jurić come Inquisitore e il tenore Maxim Paster come Mefistofele.

Convincentissima la direzione di Pérez, alla guida di una grande orchestra, con tre trombe, tre tromboni, basso tuba, quattro corni, tre per ogni legno, due arpe, una vasta schiera di percussioni e la massa degli archi. La partitura è incandescente e magmatica e il direttore argentino l’ha resa in tutte le sue sfumature iridescenti, guidando gli strumentisti con gesto ampio e sicuro (ero in un palco dove lo vedevo bene), mulinando la bacchetta in modo sicuro e accompagnando con la sinistra l’espressione in modo efficace. Ottimi tutti i settori dell’orchestra, chiamati a rendere sonorità a volte aspre, come le trombe che suonano spesso con la sordina. L’escursione dinamica è molto ampia, andando da pianissimo quasi inudibili a dei fortissimo che a volte coprono le voci dei cantanti. Grande successo per tutti, a dimostrazione che il pubblico – molti gli stranieri – può accogliere bene anche opere diverse dal solito repertorio.

L’angioletto che mi voleva respingere

L’angelo incontrato il giorno dopo a Santa Cecilia all’inizio ha provato a respingermi. Almeno così dice il testo del Lied mahleriano inserito come quarto movimento della Sinfonia n.2. Questo il testo di Urlicht (Luce primigenia):

O rossa rosellina!
L’uomo è nella più grande miseria!
L’uomo è nella più grande pena!
Preferirei essere in cielo.
Allora ho preso una strada larga;
Allora è venuto un angioletto e mi voleva respingere.
Oh no, non mi sono lasciato respingere.
Io sono di Dio e a Dio voglio tornare!
Il buon Dio mi darà un lumicino
che mi farà luce fino all’eterna vita beata!

Si tratta di un testo proveniente dalla raccolta Des knaben Wunderhorn, di Achim von Arnim e Clemens Brentano, ricorrente fonte di ispirazione per Mahler. I versi vengono intonati dal contralto, in questo caso Genia Kühmeier, e segnano l’ingresso della voce nell’universo sinfonico mahleriano, presente poi anche nella Terza, nella Quarta e nell’Ottava.

Ma nel quinto movimento, il coro chiude la sinfonia con versi tratti da Die Auferstehung (La Resurrezione, da cui la composizione prende il titolo) di Friedrich Klopstock:

Con ali che mi sono conquistato,
mi librerò nell’aria!
Risorgerai, sì risorgerai
mio cuore, in un attimo!
Quello per cui hai combattuto
ti porterà a Dio!

Il finale della sinfonia è alato, nel senso che le anime si sono angelicate per raggiungere la resurrezione. La composizione di Mahler ha quindi un’inequivocabile ispirazione positiva, pure nella complessa personalità dell’autore, ebreo convertito al cattolicesimo, ma praticante di nessuna delle due religioni.

La partitura è molto lunga (più di un’ora e venti) e articolata. Mikko Franck la affronta con piglio sicuro guidando il vasto organico in un’esecuzione molto applaudita. Il direttore finlandese, attualmente guida dell’Orchestre Philhamonique de Radio France e che a Roma è Direttore ospite principale, ha la strana abitudine di collocare una sedia sul podio, peraltro posando i piedi sul palcoscenico, anche se passa larga parte dell’esecuzione in piedi, quasi in mezzo agli orchestrali; la sua statura sicuramente sotto la media finlandese lo costringe a un gesto ampio e chiaro. Le esplosioni sonore mahleriane sono davvero impressionanti per precisione e potenza, con gli ottoni e le percussioni in grande evidenza. Ma tutto fila per il verso giusto, con gli interventi dei fiati sempre perfetti, soprattutto clarinetto, flauto, ottavino, oboe e corno inglese, i corni suonati anche “alla cacciatora” (cioè senza la mano inserita nella campana) grandi protagonisti. Nel finale suonano anche quattro trombe e quattro corni fuori scena, assieme ad alcune percussioni. Successo molto caloroso.

 

Giovedì 30 maggio 2019
Teatro dell’Opera di Roma
L’angelo di fuoco
Musica Sergej Prokof’ev
Opera in cinque atti e sette quadri
Libretto del compositore da un romanzo di Valerij Brjusov

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
DIRETTORE Alejo Pérez
REGIA Emma Dante
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Carmine Maringola
COSTUMI Vanessa Sannino
MOVIMENTI COREOGRAFICI Manuela Lo Sicco
LUCI Cristian Zucaro
MAESTRO D’ARMI Sandro Maria Campagna

PRINCIPALI INTERPRETI
RUPRECHT Leigh Melrose
RENATA Ewa Vesin
PADRONA DELLA LOCANDA Anna Victorova
INDOVINA Mairam Sokolova
AGRIPPA DI NETTESHEIM Sergey Radchenko
JOHANN FAUST Andrii Ganchuk *
MEFISTOFELE Maxim Paster
MADRE SUPERIORA Mairam Sokolova
INQUISITORE Goran Jurić
JAKOB GLOCK Domingo Pellicola *
MATHIAS WISSMAN Petr Sokolov
MEDICO Murat Can Guvem *
SERVO Andrii Ganchuk*
PADRONE DELLA TAVERNA Timofei Baranov *
I GIOVANE MONACA Carolina Varela
II GIOVANE MONACA Silvia Pasini 

* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento

Venerdì 31 maggio 2019
Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Mikko Franck direttore
Genia Kühmeier soprano
Gerhild Romberger mezzosoprano
Ciro Visco maestro del Coro
Mahler Sinfonia n. 2 “Resurrezione”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *