Shostakovich e Beethoven a New York

Jaap van Zweden, New York Philharmonic (Gettyimages)

Finalmente la New York Philharmonic! In town per ragioni “familiari”, non mi sono privato del piacere di un concerto al Lincoln Center. Fine maggio non è un buon periodo per la musica nella Grande Mela: la stagione dell’opera al Met è finita e alla Carnegie Hall non è ancora cominciata la ministagione dell’orchestra dell’ente operistico. Per fortuna, non è ancora terminata la season della NY Phil, che propone gli ultimi concerti riuniti sotto il ciclo Music of Conscience, tutti affidati al Direttore musicale Jaap van Zweden. L’Ascoltatore ha assistito al primo.

La musica della coscienza
Il breve ciclo è dedicato alle “risposte” della musica ai problemi politici e sociali. Quello a cui ho assistito accoppiava la trascrizione per orchestra d’archi del Quartetto numero 8 op. 110 di Dmitri Shostakovich e l’Eroica di Beethoven. Il primo, vissuto nell’era staliniana (e anche oltre) dell’Unione Sovietica, il secondo dapprima entusiasta degli ideali della Rivoluzione francese incarnati da Napoleone poi deluso dall’autoincoronazione dell’Imperatore. Gli altri due appuntamenti sono dedicati alla Prima Sinfonia di John Corigliano, che il compositore di origine italiana (figlio del primo violino dell’orchestra dell’epoca di Bernstein) scrisse sull’onda dell’emozione per la morte di Aids di un amico, e alla prima mondiale di prisoner of the state (in minuscolo), riscrittura del beethoveniano Fidelio da parte di David Lang.

Il confronto di Shostakovich con la realtà politica del suo Paese ebbe il momento più critico quando, nel 1936, si dice lo stesso Stalin, pur in forma anonima, stroncò sulla Pravda la Lady Macbeth del Distretto di Mcensk. Per non subire ulteriori conseguenze, il compositore rimaneggiò l’opera e compose una Sinfonia, la Quinta, dai toni trionfalistici. Questo riallineamento provocò però l’ira degli ammiratori occidentali, tanto che nel 1949, in occasione di un viaggio di Shostakovic a New York come ambasciatore al Congresso mondiale degli intellettuali per la pace, Toscanini si rifiutò di incontrarlo e l’esecuzione proprio della Quinta sinfonia venne annullato per la protesta delle associazioni dei combattenti.

Il Quartetto numero 8 nasce dalla visita che Shostakovich nel 1960 fece a Dresda, città martirizzata dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale. Il compositore ne fu molto turbato, tanto da dedicare il quartetto “Alle vittime del fascismo e della guerra”. Si tratta quindi di una composizione dove prevalgono i toni mesti e i colori più scuri, tanto che lo stesso Shostakovich chiese che venisse eseguita per il proprio funerale nel 1975.

La New York Philharmonic ha eseguito il Quartetto nella trascrizione di Rudolf Barshai (classificata come op. 110a del compositore russo) con un organico non troppo cameristico: 6 contrabbassi, 8 violoncelli, 10 viole, 11 primi violini e 12 secondi. Il direttore olandese esegue i cinque movimenti (Largo, Allegro molto, Allegretto, Largo e Largo) senza interruzione. Il suono è pastoso, anche grazie a un legato molto morbido, su cui spiccano gli interventi del primo violino (qui Concertmaster) Frank Huang e del primo violoncello Carter Brey.

Un Beethoven poco eroico
L’Eroica viene affrontata con l’organico da grande orchestra: i contrabbassi diventano 8, i violoncelli 10, 12 le viole, 15 i primi violini e 14 i secondi. La compattezza degli archi non ne risente, sviluppando un suono compatto e levigato privo di qualsiasi sbavatura. In grande evidenza i fiati, a partire dal primo oboe Sherry Sylar, chiamata a numerosi interventi solistici, tutti affrontati con sicura tecnica e grande espressività.

Ottimi i quattro corni (Beethoven ne prevede tre). Jaap van Zweden guida l’orchestra su tempi incalzanti. Il gesto non è bellissimo, con movimenti speculari delle braccia, l’espressione affidata alla sinistra è molto schematica (qualche indicazione in più la dà in Beethoven, forse anche per l’organico più articolato). Non sappiamo se con la mimica facciale guida l’orchestra perché poche sono le volte che dà il profilo al pubblico. Il direttore olandese è un attentissimo battitore di tempo con la bacchetta, tanto che l’orchestra suona con una precisione infallibile. Van Zweden si muove molto pur senza “ballare” e l’intesa con l’orchestra c’è tutta. Ne è uscito un Beethoven poco “eroico” e molto intimo, con sbalzi dinamici non molto accentuati, lasciando l’impressione di un’ottima esecuzione ma a cui mancava qualcosa. Il successo però è stato caloroso, a sottolineare il feeling tra il direttore e il pubblico dopo la prima stagione insieme.

Il Lincoln Center
Qualche nota di colore per il mio debutto al Lincoln Center, dove ho fatto shopping di cd nell’edificio che ospita la Metropolitan Opera. La David Geffen Hall, dove suona la Filarmonica, è una sala funzionale dotata di molte porte d’accesso; l’acustica è ottima e i posti comodi. Il programma di sala è in distribuzione gratuita. L’ingresso degli orchestrali sul palco è alla spicciolata, molti stavano facendo “riscaldamento” ben prima dell’inizio del concerto. Il primo violino arriva per ultimo, dopo aver invitato il pubblico a spegnere i cellulari con un avviso fuori campo. Pubblico che i cellulari li spenge pure, ma non fa mancare i colpi di tosse, forse per farmi sentire a casa. Non c’è dress code, anche se non ho visto tenute particolarmente scandalose. Molti i giovani tra il pubblico, non tutti silenziosissimi.

New York, Lincoln Center, giovedì 23 maggio, ore 19,30
David Geffen Hall
New York Philharmonic Orchestra
Jaap van Zweden direttore
Shostakovich Sinfonia da camera (trascrizione di Rudolf Barshai del Quartetto n.8 op.110)
Beethoven Sinfonia n.3 “Eroica”

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