Billy Budd, ovvero della gelosia maschile

 

Per la prima volta a Roma va in scena Billy Budd di Benjamin Britten, opera del 1951, ridotta in due atti dall’autore nel 1960. Bene ha fatto il Teatro dell’Opera a proporre questo titolo inedito, che ha riscosso un ottimo successo davanti a un pubblico ritenuto di solito molto tradizionalista. Alla riuscita ha contribuito forse anche la folta presenza di stranieri, che dà alle rappresentazioni quel giusto tocco internazionale, che dovrebbe essere la norma in una Capitale. L’opera (e i teatri in cui viene rappresentata) dovrebbe essere anche un’attrattiva turistica, visto che fa parte integrante del patrimonio culturale italiano, una delle cose più apprezzate dagli stranieri.

Una galera in tutti i sensi
Diciamo subito che al successo ha contribuito l’allestimento, in coproduzione con il Teatro Real di Madrid e la Royal Opera House Covent Garden di Londra. La regia firmata da Deborah Warner colloca l’azione in uno spazio vuoto, con un praticabile di legno che si alza all’occorrenza. La scena è ingombra di funi, come si conviene a una nave da guerra, la quale è una galera per davvero: la scena iniziale e quella finale sembrano uscire da un film del filone carcerario, con i sottufficiali vestiti da tute da secondino e i marinai a torso nudo o in canottiera da carcerati. Siamo a bordo della nave di sua maestà Indomitable nel 1797, durante le guerre con la Francia. E la disciplina è veramente quella delle prigioni.

Nel mezzo, i costumi dei personaggi fanno più pensare a Caccia a Ottobre Rosso senza Sean Connery, un’attualizzazione forse non necessaria, ma che comunque nel complesso dello spettacolo non disturba più di tanto: alla fine, sono solamente gli ufficiali a vestire una divisa troppo moderna. Se non si fosse ancora capito, il cast è interamente maschile.

 

Il protagonista che dà il nome all’opera – tratta dall’omonimo romanzo di Herman Melville – viene prelevato con la forza da un mercantile di passaggio, dall’ambiguo nome di Rights o’ Man: il saluto che Billy Budd (il baritono Phillip Addis) rivolge alla sua ex imbarcazione fa sospettare agli ufficiali qualche propensione alla rivolta, in un’epoca in cui gli ammutinamenti erano tutt’altro che improbabili. Balbuziente, il protagonista – un bel ragazzo fisicamente prestante – si esprime meglio cantando. La simpatia che suscita nel comandante Vere (il tenore Toby Spence) si rispecchia nell’avversione che si radica presso il maestro d’armi John Claggart (il basso John Relyea).

David Shipley (Lieutenant Ratcliff) e John Relyea (John Claggart)

Si innesca così un perverso gioco di gelosia tutta al maschile che porterà Claggart a brigare per far passare falsamente Billy per un rivoltoso, fino al tragico epilogo: incapace di discolparsi dalle accuse a causa della balbuzie, il marinaio uccide con un pugno il suo accusatore e viene condannato all’impiccagione, che nella lettura della Warner assomiglia più a un’ascensione in cielo che a un’esecuzione. Tutta la storia è inquadrata in un prologo e in un epilogo, in cui, dopo molti anni l’ormai anziano capitano Vere ricostruisce la vicenda, chiedendosi se ha fatto tutto per evitare la tragica fine di Billy Budd.

Perché il protagonista susciti sentimenti tanto contrastanti non viene “spiegato” dalla regia. L’“amore” del capitano Vere non viene esplicitato (va ricordato che primo interprete ne è stato il compagno di Britten, il tenore Peter Pears), mentre l’attrazione fisica forse repressa di Claggart viene lasciata trapelare da una leggera carezza che il rude master-at-arms fa scivolare sulla spalla del povero Billy. La regista non sembra chiedersi – come Lucio Dalla – Ma come fanno i marinai e il tema dell’omosessualità comunque non emerge.

Voci e strumenti: il fascino di Britten
La parte musicale. Il direttore americano James Conlon guida i cantanti, il coro e l’orchestra con mano sicura. La partitura non è di quelle facili, né per le voci né per gli strumenti. Ottimi i tre protagonisti. Spence è un tenore con una bella emissione, che dà espressione a tutte le sfumature del personaggio, un buono incapace di impedire il male, forse il tipo peggiore dei buoni. Il baritono Addis è stato chiamato all’ultimo a sostituire l’annunciato Jacques Imbrailo: si è disimpegnato benissimo, esprimendo tutto il candore del personaggio, un buono inconsapevole del male e per questo perfetto nel ruolo della vittima designata. Il basso Relyea è un cattivo davvero cattivo, con gran vocione, superlativo nell’aria in cui enuncia la sua visione perversa del mondo (nella Lezione che precede la prima, Giovanni Bietti l’ha paragonata al “Credo” di Jago nell’Otello di Verdi); da cattivo totale, procura il male agli altri e a sé.

Encomiabile il coro istruito dal veterano Roberto Gabbiani. Prova ne è la scena frenetica della caccia alla nave francese, vero climax teatrale della vicenda. Qui anche l’orchestra dà il meglio di sé, con gli ottoni roboanti e i legni molto precisi. Ma tutti i settori si sono espressi al meglio, dagli archi alle percussioni, per una musica ricca di sfumature, dove prevalgono i colori scuri.


Billy Budd
Musica di Benjamin Britten
Opera in due atti
Libretto di Edward Morgan Forster ed Eric Crozier
dal racconto di Herman Melville

Direttore James Conlon
Regia Deborah Warner
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Michael Levine
Costumi Chloe Obolensky
Luci Jean Kalman
Movimenti coreografici Kim Brandstrup
Ripresa delle coreografie Joanna O’Keeffe 

Interpreti principali

Billy Budd Phillip Addis
Edward Fairfax Vere Toby Spence
John Claggart John Relyea
Mr. Redburn Thomas Oliemans
Mr Flint Zachary Altman
Lieutenant Ratcliffe David Shipley
Red Whiskers  Christopher Lemmings
Donald Jonathan Michie
Dansker Stephen Richardson
A novice Keith Jameson
The novice’s friend Johnny Herford
Squeak Matthew O’Neill
Bosun Francesco Salvadori
First Mate Timofei Baranov*
Second Mate Andrii Ganchuk*
Maintop Domingo Pellicola*
Arthur Jones Antonio Pannunzio
A sailor Lorenzo Grante
Voice William Hernandez
* Dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione Della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro Real di Madrid e Royal Opera House Covent Garden di Londra

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